Tre bombe, una a Milano e due a Roma. È la notte del 27 luglio 1993, 25 anni fa, quando Cosa Nostra lancia l’ennesimo segnale del suo “ricatto” allo Stato: un’autobomba esplode in via Palestro, a Milano, vicino al Padiglione d’Arte Contemporanea, e poco più di 40 minuti dopo la Capitale viene svegliata dai boati di altre due Fiat Uno, cariche di pentrite e T4 e piazzate in pieno centro, una davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano, l’altra a San Giorgio al Velabro, a pochi metri dal Campidoglio e dai Fori Imperiali. Nel capoluogo lombardo i morti sono
Cosa stava succedendo in Italia: gli anni delle bombe
Gli attentati della notte tra il 27 e il 28 luglio del ’93, due atti di terrore che colpiscono le città del potere economico e politico, sono il culmine dell’attacco mafioso che Cosa Nostra porta avanti contro lo Stato italiano cercando di indebolirlo per creare le condizioni adatte a una trattativa, quella che nei processi sarà poi denominata “Trattativa Stato-Mafia”. Tra il 20 e il 27 luglio, infatti, il DAP ha prorogato molti provvedimenti di 41 bis in scadenza che riguardano detenuti mafiosi. Prima della notte del 27 luglio di 25 anni fa, l’Italia ha già vissuto il terrore del tritolo: il 14 maggio un’autobomba diretta a colpire Maurizio Costanzo era scoppiata in via Fauro, a Roma, e otto giorni dopo un’altra deflagrazione a Firenze, in via dei Georgofili, vicino agli Uffizi, aveva ucciso cinque persone. Poi, il 2 giugno, davanti a Palazzo Chigi era stata trovata una Fiat 500 imbottita di esplosivo. Dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio del 1992, in cui avevano perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Cosa Nostra si sposta sul “continente” e, nell’anno del governo Ciampi, della dissoluzione della Dc e di Mani Pulite, colpisce Roma e Milano, quest’ultima al termine di una settimana difficile dopo il suicidio del presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, e dell’imprenditore Raul Gardini. Il 2 novembre del 1993, il ministro della Giustizia Giovanni Conso non rinnoverà circa 300 provvedimenti al 41 bis in scadenza per “frenare la minaccia di altre stragi”.
L’attentato a Milano
La prima delle bombe a esplodere il 27 luglio 1993 è quella a Milano. In via Palestro, davanti al Padiglione di Arte Contemporanea, la Fiat Uno carica di tnt deflagra alle 23:14: la quantità di esplosivo è tale che il motore della macchina viene trovato a quasi 300 metri di distanza. Le vittime sono un vigile urbano, Alessandro Ferrari, tre pompieri, Carlo La Catena, Stefano Picerno e Sergio Pasotto, avvertiti poco prima da una telefonata anonima che aveva segnalato “del fumo uscire da una Fiat Uno parcheggiata in via Palestro”, e Moussafir Driss, un cittadino di origine marocchina che stava dormendo su una panchina dei giardini pubblici. Quando Ferrari cerca di aprire la portiera, tutti e cinque vengono investiti in pieno dall’esplosione. I feriti sono 12 e gravissimi sono i danni al patrimonio artistico: lo scoppio crea una sacca di gas nel sottosuolo che esplode nella notte investendo il Pac e la Villa Reale e distruggendo dipinti e sculture.
Le bombe a Roma
Quarantatré minuti dopo l’esplosione a Milano, alle 23.58, un’altra autobomba esplode davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano davanti agli uffici del Vicariato, e quattro minuti più tardi è la volta della deflagrazione della Fiat Uno piazzata all’esterno della chiesa di San Giorgio al Velabro, a pochi metri dal Campidoglio e dai Fori Imperiali. I due attentati non provocano vittime, ma ci sono 22 feriti e gravissimi danni alle due chiese. Secondo Gaspare Spatuzza, uno dei protagonisti degli attacchi diventato, anni dopo, collaboratore di giustizia, l’obiettivo “erano i monumenti, non le vite umane. Quello che avvenne erano conseguenze non cercate”.
I processi e le condanne
L’anno successivo agli attentati la Procura di Firenze acquisisce le indagini sulle esplosioni del capoluogo toscano, di Roma e di Milano. L’inchiesta si basa soprattutto sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia e nel 1996 inizia il processo per le bombe del 1993. Nel filone principale vengono condannati all’ergastolo Leoluca Bagarella, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano, Filippo Graviano, Cosimo Lo Nigro, Antonino Mangano, Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, Gaspare Spatuzza, Salvatore Benigno, Gioacchino Calabrò, Cristofaro Cannella, Luigi Giacalone e Giorgio Pizzo, mentre ai collaboratori di giustizia, tra cui Giovanni Brusca, vengono inflitte pene più lievi che vanno dall’assoluzione ai 28 anni di carcere. Le posizioni di Salvatore Riina, Giuseppe Graviano, Alfredo Bizzoni e Giuseppe Monticciolo vengono stralciate dal processo principale e per loro la condanna di primo grado arriva nel gennaio del 2000: ergastolo per Riina e Graviano, sette anni per Monticciolo e un anno e mezzo per Bizzoni. Nel febbraio 2001 la Corte d’assise d’appello di Firenze conferma tutte le precedenti condanne e le assoluzioni di primo grado, annullando però l’ergastolo per Cristofaro Cannella che viene ridotto a trent’anni di carcere. Tutte le sentenze vengono poi confermate in via definitiva dalla Cassazione nel maggio del 2002. Per quanto riguarda la bomba di via Palestro, nel 2002 la Procura di Firenze dispone l’arresto dei fratelli Tommaso e Giovanni Formoso, identificati da alcuni collaboratori di giustizia come gli esecutori materiali della strage di Milano. I due vengono condannati all’ergastolo nel 2003 dalla Corte d’Assise di Milano e la sentenza viene poi confermata nei due successivi gradi di giudizio.
Le indagini sui “mandanti occulti”
Nel 1994, accanto all’indagine principale si sviluppa un filone parallelo volto a individuare eventuali concorrenti esterni a Cosa Nostra, i cosiddetti “mandanti occulti”. Nel 1996, dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti, vengono iscritti nel registro degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri con le sigle “Autore 1” e “Autore 2” per concorso in strage, ma due anni dopo il gip di Firenze archivia l’inchiesta perché non è stata trovata la conferma delle affermazioni de relato (termine giuridico che indica una conoscenza indiretta dei fatti, ndr) dei collaboratori di giustizia. Nel 2003 viene indagato l’ex senatore democristiano Vincenzo Inzerillo, accusato da un pentito di aver incontrato nel 1993 Bagarella, Messina Denaro e Graviano, ma anche questa inchiesta viene archiviata. Nel 2008, infine, la Procura di Firenze archivia definitivamente l’intera indagine sui “mandanti occulti”.