di Arcangelo Badolati
Cosenza – La “mente” in Calabria e gli affari in tutto il mondo. La Direzione investigativa antimafia descrive nella sua relazione semestrale la ndrangheta come una mafia internazionale ferma nel mantenere precisi riferimenti territoriali e vecchi rituali. Le numerose interdittive antimafie emesse dalle prefetture, le inchieste della magistratura testimoniano dell’infiltrazione delle cosche calabresi nei più variegati settori: dalla raccolta dei rifiuti all’edilizia, passando dagli autotrasporti e la ristorazione. I clan s’infilano pure negli appalti pubblici utilizzando “teste di legno” che partecipano così direttamente alla spartizione delle risorse finanziarie collettive. Nelle aree diverse da quelle di origine, i boss calabresi replicano sperimentati “modelli” criminali. “Modelli” secondo la Dia ricreati in Liguria, Abruzzo, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Molise, Lazio così come in nazioni straniere. Gli investigatori fanno cenno a stati europei nei quali ormai certa appare la presenza stabile della ‘ndrangheta: Germania, Francia, Spagna, Paese Bassi, Austria, Slovacchia, Romania, Regno Unito e Malta dove i mafiosi calabresi riciclano denaro rilevando esercizi commerciali, bar, ristoranti, pizzerie. La Dia indica poi la presenza di “locali” di ‘ndrangheta dotati di “autonomia” ma funzionalmente legati alla casa madre calabrese, in Canada, Stati Uniti e Australia.
La politica
C’è poi il capitolo dedicato ai rapporti con il mondo istituzionale e politico. Rapporti dimostrati dalla costante pervasività delle cosche negli enti pubblici territoriali come confermerebbero gli scioglimenti – a parere della Dia – di numerosi consigli comunali. Nella relazione si fa in particolare riferimento a Cirò Marina, Scilla, Strongoli, Limbadi, Platì, San Gregorio d’Ippona e Briatico. Ciò significa che i boss sono in grado di condizionare la vita non solo economica ma pure amministrativa delle comunità nelle quali esercitano il loro nefasto potere.
Riti e simbolismi
Di particolare rilievo e interesse appare inoltre la lettura che la Direzione investigativa antimafia offre dei cosiddetti riti di affiliazione che non devono essere banalmente considerati «nè un retaggio del passato, né una nota di colore» ma sono indispensabili per «definire appartenenza e gerarchie interne, per rafforzare il senso di identità e per dare riconoscibilità all’esterno, anche in contesti extraregionali e persino internazionali». Insomma, nessun folclore ma un concreto simbolismo utile agli scopi della consorteria.
Le giovani leve
Ma quello che più inquieta della relazione della Dia è il fascino che la subcultura mafiosa ed i “modelli” che ne derivano esercitano sulle nuove generazioni. I nuovi mafiosi in Calabria, Sicilia, Puglia e Campania sono infatti molto giovani e usano strumenti di comunicazione che «consentono di aggregare velocemente gli affiliati al sodalizio e, allo stesso tempo, di rendere più difficoltosa l’intercettazione dei messaggi». I nuovi aspiranti boss mostrano inaudita ferocia e moderne capacità di relazione incarnando il nuovo stereotipo del mafioso moderno e spietato.