Ottocento milioni di euro di contenzioso. E un bilancio consuntivo – quello del 2018 – che nessuno vuol firmare. In mezzo commissari che si dimettono a raffica, uno dopo l’altro: l’ultima a lasciare sarà, il dieci dicembre prossimo, Erminia Pellegrini. L’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza è ormai una nave incagliata tra i debiti. Lo scenario è familiare a tutta la sanità regionale sfregiata da anni di sperperi, incongruenze e iniziative finanziarie creative. Alcuni esempi? Ecco quelli cosentini: l’iscrizione in bilancio di crediti sopravvalutati e inesigibili; la mancanza di cognizione dei beni mobili e immobili di proprietà dell’Azienda; la pendenza di pignoramenti per 103 milioni di euro azionati utilizzando, a volte, il medesimo titolo esecutivo. Eppoi decine di milioni destinati a saldare parcelle legali, interessi di mora ed a garantire pagamenti doppi e tripli per via di astute cessioni di crediti. Un disastro.
Il revisore
Sergio Tempo ha lasciato la carica di revisore dei conti dell’Asp nel novembre dello scorso anno, segnalando alla Corte dei Conti tutte le “stranezze” rilevate e l’ammontare d’un contenzioso pari, a suo avviso, a un miliardo di euro. Sull’Azienda bruzia, nel frattempo, ha aperto un’inchiesta la procura di Cosenza, affidando indagini e accertamenti alla Guardia di finanza. E l’ex revisore è stato convocato e a lungo sentito dagli investigatori. A palazzo di giustizia, peraltro, s’era recato pure l’ex commissario alla Sanità Massimo Scura che, riguardo all’Azienda bruzia, aveva pubblicamente parlato di «una disinvoltura gestionale raccapricciante». Di più: Scura anche in una sua recente pubblicazione ha scritto «che il tesoriere tiene fermi decine di milioni per pagare crediti pignorati e futuri pignoramenti in arrivo, causando mancanza di liquidità all’Asp, con ulteriori ritardi nei pagamenti dei fornitori e conseguenti successive procedure esecutive. Un vero e proprio infernale circolo vizioso».
Il commissario
Per avere una idea di quale sia la situazione, basta leggere una delibera del commissario ad acta del luglio scorso dalla quale si evince la presenza di ben «cinquemila fatture di cui si contesta il mancato pagamento». Ed i ritardi nei pagamenti possono cagionare danni finanziari enormi. Nel 2014, per esempio, dei creditori insoddisfatti hanno chiesto alla magistratura l’emissione di decreti ingiuntivi poi notificati all’Azienda Sanitaria. Debiti saldati? Nient’affatto. La struttura pubblica non ha scucito un euro. Così, per ottenere l’«ottemperanza» dei decreti, i creditori si sono rivolti al Tribunale Amministrativo Regionale che, tre anni dopo, ha obbligato l’Asp a pagare il capitale iniziale, cioè 1.038.874, 15 euro più (pensate!) 4.387.988, 58 di euro quali interessi per il ritardato pagamento. Insomma, da un credito iniziale di un milione si è passati ad un saldo finale di cinque. Il contenzioso dell’Asp è tale che l’ufficio legale è stato costretto ad ammettere lo scorso anno di non essere in grado di fornire un «dato non contestabile». Secondo il consigliere regionale Carlo Guccione, autore di una serie di interrogazioni su questa delicata vicenda «se si sommano le cifre vincolate presso il Tesoriere ed i pignoramenti, il contenzioso attuale potrebbe arrivare a 783 milioni di euro».
Doppi e tripli pagamenti
La cartolarizzazione dei crediti; la prassi di azionare i medesimi titoli quasi contestualmente in vari Tribunali italiani; la non obbligatorietà da parte dei terzi assegnatari di somme nell’ambito delle varie procedure esecutive di notificare l’ordinanza all’Asp debitrice; il comportamento scorretto di alcuni creditori e la carente o distorta informazione tra i vari uffici dell’Azienda sanitaria, non fanno escludere la concreta possibilità che siano stati effettuati pagamenti doppi o tripli per lo stesso debito. Ed è questa la pista su cui si starebbe muovendo la magistratura inquirente. Se così fosse si spiegherebbe, almeno in parte, il continuo salasso delle casse aziendali.
I paradossi
In provincia di Cosenza mancano in totale 350 posti letto per acuti, eppure si accorpano interi reparti ed altri vengono chiusi. A Cetraro, i cittadini per vedere riaperto il “Punto nascita” sono costretti da settimane a protestare e scendere in piazza. Il primario di Ginecologia è stato nominato ma il servizio non è ancora stato riattivato. L’attesa dura ormai da quattro mesi. E mentre i cittadini-utenti del Cosentino trovano difficoltà di ogni genere approcciandosi ai nosocomi pubblici, si scopre poi che sono stati sprecati milioni di euro per sale operatorie mai utilizzate. La realizzazione di un intero blocco operatorio a Castrovillari, la città più importante del versante calabrese del Pollino, è stata prima annunciata con strombazzamenti politici, poi finanziata abbondantemente con soldi pubblici e, infine, farsescamente conclusa con una cerimonia d’inaugurazione affollata da un codazzo di osannanti reggicoda e partitanti. Com’è finita? Malissimo, perché i chirurghi nelle sale non vi hanno mai messo piede. Le camere operatorie di Cardiochirurgia, di Ortopedia e di Chirurgia del “Ferrari”, costate la bellezza di 4.778.400 euro, sono sempre rimaste vergognosamente chiuse. La ragione? Semplice, risultano non collaudabili visto che manca la progettazione della Centrale gas medicali e del Gruppo elettrogeno. Incredibile, ma vero. Chi non ha vigilato? Chi ha sbagliato? «In Italia di fronte a un problema grave» diceva con sublime ironia Ennio Flaiano «la colpa è di tutti e, quindi, di nessuno».
Alla tragicomica vicenda castrovillarese s’aggiunge – freschissima di conio – la questione delle ambulanze. I medici e gli infermieri del servizio di 118 sono spesso costretti a muoversi su mezzi usurati, Come accade, per esempio, a Corigliano Rossano dove sono attive ambulanze con 600.000 chilometri: la più nuova, pensate, ne conta 250.000. Alla faccia dell’efficienza e della modernità e, soprattutto, degli standard europei. Più che nel Vecchio continente sembra di stare in una nuova Africa.