La barba… fatale. Sono tante le esecuzioni compiute dal barbiere nel quadro di regolamenti di conti, guerre di mafia e faide. Dall’assassinio del superboss calabrese Albert Anastasia avvenuta a New York (1957) all’eliminazione di Antonio Gaglioti a Palmi (1980) passando per gli omicidi di Catello De Iudicibus a Cetraro il 17 febbraio (1982), Demetrio Serraino a Reggio Calabria (1988), Rocco Zagari a Taurianova (1991), Michele Tavella a Mileto (2006) e Luigi Lanzillotta a Corigliano (1993). E proprio da quest’ultimo fatto di sangue cominciamo la ricostruzione degli accadimenti, tutti assolutamente sovrapponibili.
Luigi Lanzillotta, imprenditore di Cassano, venne assassinato mentre era seduto sulla poltrona d’una barberia di Corigliano. Era il 9 gennaio del 1993. L’uomo aspettava di radersi e leggeva un quotidiano quando fece irruzione il killer. La sua colpa? Aveva continuato a mantenere dei rapporti di tipo economico con l’ex mammasantissima Giuseppe Cirillo, anche quando questi s’era allontanato dalla Sibaritide. I retroscena del delitto sono stati rivelati per la prima volta dal pentito Giovanni Cimino, appartenente al “locale” di ‘ndrangheta guidato da Santo Carelli. Un “locale” all’epoca ormai vincente nella guerra combattuta contro Cirillo e la sua organizzazione criminale che avevano l’originaria sede a Sibari. Cimino partecipò come “specchietto” all’omicidio e parlò con la vittima pochi minuti prima che venisse uccisa. Ecco la sua versione dei fatti, «Quando entrò nella sala da barba, Lanzillotta mi salutò come sempre con una stretta di mano. Poi, mi chiese come stesse “compare Santo”. Ma io sapevo bene che lui mi faceva questa domanda per farmi parlare, per sapere dove si trovasse Carelli. Io, perciò, lo liquidai con poche battute. “Don Gino, io Carelli non lo vedo da un pezzo. Non saprei dirle proprio come sta”, gli dissi. Quindi lui si accomodò sulla poltrona per farsi lo shampoo. Da fuori mi fecero un cenno. Capii che il commando era arrivato. Era il momento, insomma, dell’azione. Io uscii dal locale, all’interno del quale rimasero altre persone». Nell’uccisione di Lanzillotta ebbe un ruolo centrale Antonio Cimino, fratello di Giovanni, che successivamente decise, a sua volta, di “cantare” con i magistrati antimafia di Catanzaro. Antonio guidò il mezzo che portò sul posto il sicario, Damiano Pepe che eseguì freddamente la missione di morte. La scelta collaborativa dei due germani Cimino finì col costare la vita a loro padre, Giorgio, ferito a morte davanti a un bar della cittadina ionica ora diventata comune unico con Rossano.
Il collaboratore di giustizia coriglianese, Vincenzo Curato, ha pubblicamente dichiarato negli anni successivi durante un’audizione a Rebibbia, d’aver personalmente partecipato, col il ruolo di “palo” all’omicidio di Giorgio Cimino .«L’ordine di ammazzare Cimino» ha riferito Curato «giunse dal carcere e fu avallato dai vertici del clan. Si doveva uccidere il padre per far pagare ai figli la responsabilità di aver inchiodato, con le loro confessioni, mandanti ed esecutori dell’omicidio dell’imprenditore Luigi Lanzillotta». Al delitto compiuto dal barbiere seguì insomma pure una vendetta trasversale contro i due fratelli pentiti.
Nei primi anni cinquanta Albert Anastasia, originario di Parghelia (Vibo Valentia), era diventato il capo della commissione di Cosa nostra americana. Violento, iracondo, il mafioso calabrese aveva raggiunto il posto più alto nella gerarchia criminale americana grazie all’aiuto e all’appoggio del corregionale Frank Costello, al secolo Francesco Castiglia, nato a Lauropoli di Cassano e poi emigrato negli States per raggiungere il padre. Costello era il mentore, lo stratega e il consigliere più ascoltato da Anastasia. Quando però tentarono di farlo fuori nell’androne di casa, ferendolo alla testa, Frank Costello, capì ch’era meglio mettersi da parte e decise di andare in “pensione” lasciando Anastasia alle prese con un rivale astuto e determinato: Vito Genovese, campano di origine, che ne voleva a tutti i costi la testa. Prima di colpire tuttavia direttamente il boss nato in Calabria, Genovese lo indebolì ulteriormente facendone assassinare il sottocapo, Frank Scalise. Il vice di Anastasia fu ucciso mentre stava comprando della frutta in un grande mercato italiano in Arthur Avenue, nel Bronx. Il killer gli sparò quattro colpi di revolver in testa. Senza più Scalise e Costello, il padrino di Brooklyn nato a Parghelia, rimase davvero solo e in una situazione di grande vulnerabilità. Preoccupato e guardingo, non abbandonava mai la sua villa- rifugio di Fort Lee per spingersi fino a Manhattan. Le poche volte che lo faceva, soleva fermarsi dal suo barbiere preferito, all’Hotel Park Sheraton, per farsi fare barba e capelli. Amava tutto il rituale degli asciugamani caldi e freddi: lo rilassava. Per assassinarlo don Vito si rivolse a Joe Profaci, il quale mandò per chiudere il “contratto” i suoi tre sicari più feroci, i terribili fratelli Gallo: “Crazy Joe”, Larry e Albert “Kid Blast”. Quando alle 10 e un quarto della mattina del 25 ottobre 1957 Albert Anastasia arrivò dal barbiere, i fratelli Gallo lo stavano già aspettando nella hall vicino all’ingresso. Attesero con calma che si accomodasse. Nel medesimo istante in cui barbiere inclinò la poltrona e gli mise un asciugamano caldo sugli occhi, i tre irruppero e lo trucidarono con cinque colpi alla testa. Nell’ultimo anelito di vita, Anastasia protese lo sguardo a fissare l’immagine dei suoi sicari riflessa allo specchio: li voleva vedere bene in faccia. Poi crollò a terra, esanime, in una pozza scura di sangue.
Risalendo nel tempo è una sala da barba del centro di Palmi la scena di un efferato crimine legato alla faida tra i Condello e i Gallico. È l’otto agosto del 1980: Antonio Gaglioti deve ancora radersi quando entra l’omicida che gli spara alcuni colpi alla testa. La vittima non è un criminale ma chi l’uccide sospetta sia amico di Franco Condello. Nessuno tra i presenti riconosce l’azionista. E tutti finiscono sott’inchiesta per favoreggiamento: l’accusa poi cadrà in sede giudiziaria.
È il 17 febbraio 1982 e Catello De Iudicibus entra dal suo barbiere di fiducia a Cetraro Marina per radersi. Appena si siede sulla poltrona della barberia entra un killer armato di pistola che lo fulmina con tre colpi alla testa. L’uomo paga la violenza che in quei giorni difficili insanguina la cittadina del Tirreno cosentino. Due anni prima, infatti, era stato assassinato il consigliere comunale del partito comunista Giannino Losardo, e nel 1981 Pompeo Brusco, titolare di un bar, e il commerciante Lucio Ferrami. Quest’ultimo aveva denunciato gli autori di un’estorsione compiuta ai sui danni.
È la mattina dell’11 ottobre1988: Demetrio Serraino, cugino del defunto “boss della montagna” Ciccio, ammazzato tre anni prima insieme con il figlio Alessandro all’interno degli Ospedali Riuniti di Reggio, entra dal barbiere in via Modena nella città dello Stretto: ci va spesso. Quel giorno preso posto sulla poltrona per sottoporsi alla rasatura ha solo il tempo di scambiare qualche battuta con il coiffeur, perchè entra all’improvviso un uomo incappucciato che gli spara tre colpi alla testa. Quelli sono anni difficili e i Serraino nella guerra di mafia scoppiata in riva allo Stretto, sono schierati con gli Imerti-Condello contro i De Stefano-Tegano-Libri.
Rocco Zagari “uomo di rispetto” e consigliere comunale della Dc di Taurianova il 2 maggio del 91 va dal solito barbiere per un taglio di capelli e una barba veloce. Ha solo il tempo di prendere posto: un uomo travisato lo fredda a pistolettate. La reazione al delitto sarà furente: in 48 ore ci saranno quattro vittime, tra cui i fratelli Giovanni e Giuseppe Grimaldi. A quest’ultimo verrà staccata la testa a fucilate. La faida tra gli Zagari-Fazzalari Viola e gli Asciutto-Neri-Grimaldi provocherà 32 vittime.
È sabato sera: quel sette ottobre del 2006, Michele Tavella, bracciante agricolo, vuol darsi un’aggiustatina dal barbiere. Nel fine settimana ama mostarsi in giro per il paese ben rasato e con la pettinatura perfetta. Un uomo armato di pistola entra nel salone da barba e l’ammazza. Nella concitazione del crimine ferisce pure alle gambe il barbiere e un incolpevole cliente in attesa. Poi fugge via in sella a una moto condotta da un complice.