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Il pm Guarascio, lo scrittore e giornalista Anastasi e il professore Nicaso raccontano un padrino cinico con capacità d’influenza sulla Sila, mire autonomiste rispetto al “crimine” di San Luca e grandi progetti d’imprenditorialità mafiosa
Il “superboss”. Con mire autonomiste rispetto al “crimine” di San Luca e grandi progetti d’imprenditorialità mafiosa. Un padrino cinico con capacità d’influenza sulla Sila e lungo tutta la fascia ionica della nostra provincia.
Di Nicola Grande Aracri, “signore” del Crotonese e della Sila diventato lentamente padrone pure d’una parte dell’Emilia Romagna, s’è parlato nel corso di un incontro che ha visto come relatori il pm antimafia della Dda di Catanzaro, Domenico Guarascio, il giornalista e scrittore Antonio Anastasi, il docente dell’Unical, Giancarlo Costabile, lo scrittore italo-canadese Antonio Nicaso, il direttore de “Il Quotidiano” Rocco Valenti, l’editore Walter Pellegrini. L’occasione ha consentito di parlare pubblicamente anche del presunto pentimento del capobastone a cui ha fatto riferimento il magistrato Guarascio sottolineando come non fosse stato giudicato «credibile» sulla base delle parziali (solo parziali) ammissioni fatte. Il togato ha pure parlato dei sistemi di evasione fiscale cui sono sempre più spesso legati le attività imprenditoriali messe in piedi da cosche come quella di Cutro.
Grande Aracri è stato per decenni braccio destro di don Antonio Dragone, celeberrimo e temuto padrino cutrese alleato degli Arena di Isola Capo Rizzuto, “Nicolino” alla fine degli anni 90 ha deciso di prendersi tutto. E il primo passo è stato quello di eliminare proprio il suo capobastone, assassinato al termine di un rocambolesco inseguimento avvenuto sulle colline di Crotone. Da allora ha assunto le redini della “famiglia” regolando i conti con le cosche che l’avversavano nell’area ionica della Calabria e, poi, ha raffinato il piano di espansione verso la ricca e gaudente Emilia.
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