L’accento calabrese rimbomba tra le cime innevate, le piste da sci, i ristoranti e i palazzi del potere della Valle d’Aosta. Nella regione cara alla vecchia casa regnante del nostro Paese e al ramo cadetto ducale, dove si parla da secoli un italiano con dolce e leggera cadenza francese, la voce dei picciotti della ‘ndrangheta ha incessantemente risuonato per mesi nelle cuffie degli investigatori dell’Arma. Le consonanti raddoppiate, le vocali allargate, i termini spesso quasi incomprensibili capatati dalle microspie, testimoniavano di un attivismo imprenditoriale e politico dei malavitosi calabri davvero inimmaginabile. I carabinieri hanno scoperto che la mafia di una delle regioni più lontane e povere d’Italia aveva messo radici alle pendici delle Alpi, intessendo rapporti con il mondo istituzionale e imprenditoriale. Il frutto delle indagini, condensato nell’inchiesta “Geenna” della Dda di Torino, ha sortito effetti devastanti. Il consiglio comunale di Saint Pierre è stato sciolto per infiltrazioni mafiose quasi contestualmente a quello di San Giorgio Morgeto, nella Piana di Gioia Tauro; un consigliere comunale del piccolo centro valdostano, Monica Carcea, è stata condannata a 10 anni di reclusione; un consigliere regionale, Marco Sorbara, s’è visto infliggere la stessa pena, mentre a un consigliere municipale di Aosta, Nicola Prettico, sono stati inflitti 11 anni di carcere con l’accusa di aver ricevuto appoggi elettorali da una ‘ndrina messa in piedi tra le amene valli che guardano più alla Francia che all’Italia. Non solo: due ex presidente della giunta regionale della Valle d’Aosta, Antonio Fosson e Renzo Testolin e l’ex assessore Laurent Vierin sono finiti sott’inchiesta per i rapporti elettorali mantenuti con il clan dei calabresi. Dure condanne sono piovute pure sugli “animatori” del locale di ‘ndrangheta alpino: Antonio Raso, titolare del ristorante “La Rotonda” di Aosta, s’è visto comminare 13 anni di galera; Bruno Nirta, 12 anni e 8 mesi; Fabrizio e Roberto Di Donato, e Francesco Mammoliti, 5 anni e 4 mesi.
Il collaboratore e il bimbo
A parlare delle infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’Aostano è stato, tra gli altri, un pentito dal nome strano, Daniel Paraninfo, “arruolato” da Nirta come narcotrafficante ma divenuto celebre in Calabria per essere stato testimone d’accusa nel processo istruito contro due degli esecutori materiali dell’uccisione, a Cassano, di Nicola “Cocò” Campolongo, il bimbo di 3 anni, assassinato insieme con il nonno, Giuseppe Iannicelli e una donna marocchina, Betty Taoussa, nel gennaio del 2014. Per il triplice delitto sono stati condannati all’ergastolo Fausto Campilongo e Cosimo Donato. Ebbene, il collaboratore di giustizia ha raccontato che proprio il suo mentore, Bruno Nirta, gli disse del coinvolgimento di Campilongo nell’omicidio del piccolo “Cocò” spiegandogli che, quest’ultimo, aveva partecipato all’agguato costato la vita al bambino per “entrare”, cioè ottenere la rituale affiliazione alla ‘ndrangheta. «Me ne parlò mentre c’era un servizio in televisione sul fatto». Nirta – aggiunge il pentito – gli aveva fatto questa confidenza appresa in ambienti della mafia calabrese.
Il crimine dimenticato
Ma per le ‘ndrine la Valle d”Aosta è da almeno un trentennio un rifugio sicuro per picciotti e boss in fuga da “sbirri” e guerre di mafia. Lo svelò in tempi lontani Lea Garofalo, a proposito di un omicidio consumato a Issogne nel luglio del 1990. Nel centro prealpino venne infatti assassinato Giuseppe Mirabelli, ‘ndranghetista coinvolto nella cosiddetta faida di Pagliarelle, scoppiata vent’anni prima a Petilia Policastro, piccolo centro del Crotonese. Lo scontro vide contrapposti i Mirabelli alla famiglia della Garofalo. Quando Lea decise di collaborare con i pubblici ministeri della Dda di Catanzaro, raccontò molti retroscena di quella guerra tra gruppi familiari ormai dimenticata, svelando pure molti particolari riferibili al delitto consumato nell’Aostano. «Avevo sedici anni» rivelò ai magistrati «e seppi tutto da mia nonna». La pentita è stata successivamente assassinata dal marito, Carlo Cosco e dai suoi barbari scherani, il 24 novembre del 2009 alla periferia di Milano.
Il delitto di faida
La presenza antica degli uomini delle ‘ndrine per le strade valdostane è confermata pure da altri fatti di sangue. A Pont Saint Martin, per esempio, il 13 giugno del 1991, venne massacrato da tre killer Gaetano Neri, originario di Taurianova, cui era stato in precedenza ucciso il fratello, Rocco, nell’ambito della faida esplosa nella Piana di Gioia Tauro tra il gruppo Asciutto-Neri-Grimaldi e quello dei Viola-Zagari-Fazzalari. L’uomo, pur vivendo in Valle d’Aosta non sfuggì al suo tragico destino. E proprio un pentito taurianovese, Salvatore Caruso, trasferitosi nel 1982 nella regione del nord-ovest della Penisola, in una confessione resa alla magistratura nel lontano 23 novembre del 1993, rivelò alla magistratura inquirente in che misura gli ‘ndranghetisti si fossero da tempo “sistemati” a ridosso delle Alpi, indicando nomi, cognomi e aree di influenza. Nessuno lo prese nella giusta considerazione in quegli anni lontani.
Killer a contratto
Ma non è finita. I sicari della mafia calabrese sono stati pure assoldati per compiere dei delitti su commissione al confine tra l’Italia e la Francia. Fu un dentista con studio e residenza ad Aosta, Bernarde Rohualde, a reclutare tre killer calabresi per far assassinare l’ex moglie, Francoise Ferreyrolles, 42 anni, che risiedeva Clermont-Ferrant, poco oltre i confini nazionali. Il crimine venne consumato il 26 novembre del 1992 e gli esecutori a “contratto” partiti dalla Calabria vennero pagati con 110 milioni di lire in contanti.
Arcangelo Badolati – Cosenza
Gazzetta del Sud 7 Gennaio 2021