In questo momento dice che vuole la figlia, però dentro di lui c’è anche quell’altro fatto.” Queste parole le pronuncia Maria Concetta Cacciola, trent’anni, tre figli, colpevole di aver tradito il marito e di aver deciso di collaborare con la giustizia seguendo l’esempio di Giuseppina Pesce, anche lei giovane madre, anche lei di Rosarno. E poi ci sono Rosa Ferraro, Simona Napoli, tutte fimmine ribelli che hanno rischiato la propria vita osando dire di no a padri, mariti, fratelli. Attraverso le loro storie, Lirio Abbate fa emergere uno spaccato criminale fatto di violenza, immensi patrimoni e una retriva cultura patriarcale. Ma la ribellione delle donne che si affidano “allo Stato, ovvero al nemico” produce un effetto dirompente: sgretola l’immagine di compattezza del clan, mette in dubbio i valori del sistema ‘ndrangheta e, soprattutto, accende nelle altre fimmine la consapevolezza della propria condizione e il desiderio di scrollarsela di dosso, denunciando con nomi e cognomi e aprendo crepe nel più oscuro dei mondi criminali.