La mafia si sta infiltrando sempre di più nei piccoli Comuni italiani. Con l’ultimo caso di Siderno (RC) l’8 agosto scorso, sono 20 quest’anno le amministrazioni finite sotto commissariamento da parte del governo. Una tendenza in aumento: secondo i dati di Avviso pubblico, l’associazione di enti locali per la formazione civile contro le mafie, nell’intero 2017 erano state sciolte ventuno amministrazioni locali. Dal 1991 – anno in cui è stato introdotto lo scioglimento delle amministrazioni locali dovuto a infiltrazioni mafiose, che è ora disciplinato dal testo unico degli enti locali – sono stati emanati 316 decreti di scioglimento (di cui 25 annullati) e 168 di proroga di provvedimenti precedenti. Il 92 per cento si concentra nel Sud, tra Campania, Calabria e Sicilia, ma il Centro e Nord non sono rimasti immuni dalla criminalità organizzata: il primo caso è stato, nel 1995, Bardonecchia in provincia di Torino. Dal 2011 si sono aggiunti anche altri enti locali tra Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna e Lazio, con Lavagna (Genova), Sedriano (Milano) e – sempre della provincia di Torino – Rivarolo Canavese e Leini.
L’infiltrazione mafiosa è un cancro che si sta ramificando sempre di più, come ha scritto la Commissione parlamentare antimafia nella relazione conclusiva della XVII legislatura presentata al Parlamento il 21 febbraio scorso. «Il fenomeno ha assunto un andamento molto preoccupante, a conferma del fortissimo interesse da parte dei gruppi criminali per le risorse gestite dagli enti locali e di una strategia volta a condizionare dall’interno le singole amministrazioni, a partire da quelle dei Comuni di dimensioni più limitate, al fine di indirizzarne le decisioni di spesa». Come è avvenuta l’espansione verso Nord della criminalità organizzata? «Le indagini ci dicono che inizialmente la ‘ndrangheta si è inserita nel tessuto economico prestando soldi agli imprenditori in difficoltà che non trovavano accesso ai circuiti legali», spiega Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico. «Poi ha investito denaro anche in aziende non in crisi, ma che grazie alla mafia hanno potuto avere accesso a un mercato falsato da una concorrenza sleale, perché le imprese mafiose sfruttando il lavoro possono praticare prezzi più bassi rispetto alle aziende che rispettano le leggi e vincere gli appalti. Dall’economia alla politica locale il passo è stato breve: i mafiosi votano e fanno votare. E l’interesse oggi è più verso un sindaco o un assessore piuttosto che un parlamentare, perché gli enti comunali sono diventati importanti centri di spesa».
È la cosiddetta «terza via», che auspica una alternativa tra le uniche due soluzioni possibili oggi, cioè lo scioglimento o l’archiviazione, la misura «dissolutoria» e quella «assolutoria». «Non sono disciplinati in modo soddisfacente i problemi connessi al mancato scioglimento di un ente che presenti segnali di compromissione irrisolti, come potrebbero essere i casi di appalti in cui siano state turbate le procedure di gara in favore di soggetti o imprese riconducibili all’associazione mafiosa o le situazioni in cui una determinata percentuale di dipendenti o di dirigenti sia sospettata di collegamenti con soggetti o imprese – conclude – riconducibili all’associazione mafiosa. Nelle situazioni borderline si potrebbe ipotizzare la nomina di una “commissione di affiancamento” che accompagni l’ente nel suo percorso di risanamento».
Fonte: Corriere della Sera